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Inverno demografico: Italia avrebbe bisogno ogni anno, fino al 2050, di 280mila ingressi di persone in età lavorativa


In un contesto di cronico invecchiamento dell’Italia, per compensare la diminuzione della popolazione in età lavorativa (-7,8 milioni entro il 2050) sarebbero necessari ogni anno almeno 280mila nuovi ingressi dall’estero fino al 2050. 

Ecco una delle conclusioni del Dossier Statistico Immigrazione 2023, presentato giovedì 26 ottobre a Roma e in tutt'Italia.

Eppure, le pervicaci politiche di chiusura verso i migranti ne hanno di fatto bloccato i canali di ingresso per lavoro da 12 anni, alimentando la crisi di manodopera in comparti vitali dell’economia nazionale e svilendone il contributo alla tenuta demografica del Paese.

Il 27 settembre 2023 il governo ha approvato la “Programmazione dei flussi d’ingresso legale in Italia dei lavoratori stranieri per il triennio 2023-2025”, dopo 18 anni dall’ultima pianificazione triennale, che per il 2004-2006, però, pianificava anche le politiche di integrazione, questa volta non contemplate. 

Saranno ammessi in Italia complessivamente 452mila lavoratori stranieri: 136.000 nel 2023, 151.000 nel 2024 e 165.000 nel 2025. Il provvedimento, varato su forte pressione dei datori di lavoro (in grave carenza di manodopera sin dalla crisi pandemica), segna una discontinuità rispetto a 12 anni di paralisi, tuttavia è ancora molto lontano dal coprire l’effettivo fabbisogno (stimato dal governo in 833.000 lavoratori nello stesso triennio: 274.800 per il 2023, 277.600 per il 2024 e in 280.600 per il 2025) e – in mancanza di una riforma del meccanismo a cui soggiacciono, da oltre 20 anni, gli ingressi e le permanenze per lavoro dall’estero – è soggetto alle stesse gravi distorsioni osservate lungo questo intero periodo. 

Il cosiddetto “Decreto Cutro” di inizio 2023, infatti, pur avendo previsto alcune aperture e migliorie procedurali (semplificazioni per il rilascio del nulla osta al lavoro, asseverazioni non necessarie se la domanda è presentata tramite organizzazioni datoriali, possibili quote riservate a singole categorie di lavoratori, marginali ingressi “fuori quota” di cittadini di Paesi con cui l’Italia abbia sottoscritto accordi di rimpatrio o di stranieri che completino riconosciute attività di formazione all’estero, ingressi riservati al settore domestico e dell’assistenza ecc.), non ha toccato l’impianto che da Unico sull’Immigrazione del 1998, passando attraverso i rigidi inasprimenti della legge Bossi-Fini del ormai 25 anni (ovvero dal Testo 2002) regola, in maniera del tutto irrealistica, l’incontro tra domanda e offerta di lavoro per i migranti.

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